P. Piero Gheddo (P.I.M.E.) sulla vita di Papa Giovanni nel numero unico di ottobre 2000 del mensile "Missionari del P.I.M.E."
Aveva studiato tanto, forse troppo per la sua gente bergamasca. Contadini, pieni di fede che erano venuti alla sua prima Santa Messa ad ascoltarlo. E lui, che li conosceva bene, non voleva deluderli. Così chiese al sacrestano...
Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, nasce a Sotto il Monte (Bergamo) il 25 novembre 1881, quarto di tredici fratelli e sorelle e primo maschio della famiglia. La famiglia Roncalli gode fama di grande religiosità e i figli vengono educati dall'esempio e dalla disciplina familiare: rosario e preghiere della sera in comune, amore e concordia accompagnano la dura fatica dei campi. A quei tempi, a Sotto il Monte la scuola comprende solo le prime tre classi elementari: a dieci anni, i figli dei contadini incominciano il lavoro dei campi e aiutano nelle faccende domestiche.
Ma per Angelo Giuseppe si fa un'eccezione: vista la sua profonda passione per lo studio, può continuare a studiare, prima in privato, presso il parroco di Carvico e poi, come esterno, al Collegio di Celana, riuscendo così a terminare le elementari e a compiere i primi studi di latino, tanto che, nell'autunno 1893, a dodici anni, può entrare nel Seminario di Bergamo ed essere ammesso alla terza classe ginnasiale.
La vocazione al sacerdozio nasce nel ragazzo quasi naturalmente e da Pontefice, Angelo Giuseppe dirà di "non aver mai dubitato che la vita dovesse riservargli altra sorte" che quella di essere sacerdote. In Seminario viene a contatto non solo con le scienze sacre, ma anche con i problemi umani e sociali che filtrano in quel cenacolo attraverso gli echi della vivace operosità del movimento cattolico presente a Bergamo. Angelo diventa sacerdote. Poi, un'altra eccezione per il giovane chierico: è così in anticipo negli studi - alla fine del 1900, a soli 19 anni,ha già iniziato il terzo corso di Teologia - che i superiori lo inviano a Roma per perfezionarsi, visto che le leggi ecclesiastiche permettono l'ordinazione sacerdotale solo a 23 anni, e il 13 luglio 1904 egli si laurea in sacra Teologia. Il 10 agosto dello stesso anno, nella chiesa di Santa Maria in Monte a Piazza de Popolo, Angelo Roncalli è ordinato sacerdote, e il giorno seguente celebra la sua prima S. Messa nella Basilica di San Pietro.
Quel giorno, per lui indimenticabile, si conclude con un altro fausto evento. Confuso fra la folla dei pellegrini, don Angelo si trova vicino al Papa, e chi l'accompagna lo presenta a Pio X dicendo: "Santità, questo è un giovane sacerdote di Bergamo che ha celebrato stamattina la sua prima Messa". Il Papa si ferma, si china su di lui e gli dice: "Bravo, vi incoraggio a fare onore ai vostri propositi". Poi fa alcuni passi verso altri pellegrini, ma subito torna indietro e gli chiede: - E quando canterete la prima Messa al vostro paese? - Per l'Assunta, Padre Santo. Il vecchio Pontefice fa un sorriso e soggiunge: -Per l'Assunta. Chissà che festa! E quelle campane bergamasche, che sonare... che sonare... E così il 15 agosto 1904, Sotto il Monte accoglie in festa il giovane sacerdote per la prima Santa Messa. Al Vangelo don Angelo va sul pulpito per la prima predica. Ai suoi piedi, nascosto dal parapetto, c'è il sagrestano che ha ricevuto l'incarico di tirargli la tonaca se la predica è troppo difficile; don Angelo infatti, dopo tanti anni di studi, non vuole correre il rischio di non essere più compreso dai suoi compaesani. Ma il sagrestano non interviene e così il prete novello fa una pausa e lo guarda per chiedergli consiglio. "Forza don Angelo, - mormora il sacrestano; - si capisce proprio tutto. E' chiaro come l'acqua!".
Queste parole semplici e umane, con cui il nuovo Patriarca Angelo Giuseppe Roncalli si presenta ai veneziani il 15 marzo 1953, condensando in breve tutta la sua biografia. "Vi voglio parlare con la massima schiettezza di cuore e di parola... Vi hanno detto di me cose che sorpassano di gran lunga i miei meriti. Mi presento umilmente lo stesso.
Come ogni altro uomo che vive quaggiù, provengo da una famiglia e da un punto ben determinato: con la grazia ed una buona salute fisica con un po' di buon senso da farmi vedere presto chiaro nelle cose; con una disposizione all'amore degli uomini che mi tiene fedele alla legge del Vangelo, rispettoso del diritto mio ed altrui, che mi impedisce di fare del male a chicchessia, anzi, che mi incoraggia a fare del bene a tutti. Vengo dall'umiltà e fui educato ad una povertà contenta e benedetta che ha poche esigenze, che protegge il fiorire delle virtù più nobili e più alte e prepara alle elevate ascensioni della vita.
La Provvidenza mi trasse dal mio villaggio nativo e mi fece percorrere le vie del mondo in Oriente ed in Occidente, accostandomi a genti di religioni e di ideologie diverse, in contatto coi problemi sociali acuti e minacciosi e conservandomi la calma é l'equilibrio dell'indagine e dell'apprezzamento, sempre preoccupato, salva la fermezza ai principi del Credo cattolico e della morale, più di quello che unisce, che di quello che separa e suscita contrasti...".
Un pastore dall'inizio. Questa è stata la novità che Angelo Roncalli portò con sé nel suo servizio nei tre paesi dove le comunità cristiane cattoliche erano esigue di numero. Un pastore preoccupato di allacciare rapporti con tutti.
3 marzo 1925: Pio XI nomina mons. Roncalli visitatore apostolico per la Bulgaria, con funzione episcopale. "In verità - scrive il nuovo prelato - l'essere nominato vescovo o il rimanere semplice sacerdote vale qualcosa per gli occhi, ma non dice gran che allo spirito di chi cerca la gloria del Signore e non il bagliore evanescente delle soddisfazioni terrene...
Lo spirito però è tranquillo ed il cuore in pace. Faccio l'obbedienza vincendo forte ripugnanza a lasciare certe cose e ad avventurarmi in certe altre. Sì, "Obedientia et pax": ecco il mio motto. Così sia sempre". Su questo motto episcopale mons. Roncalli ha meditato a lungo: sarà per tutta la vita l'espressione più vera del suo programma.
Il 19 marzo 1925 viene consacrato vescovo a Roma e il 25 aprile fa il suo ingresso a Sofia, capitale della Bulgaria, trovandovi un ambiente che non fa presagire nulla di buono. Soprattutto provate sono le popolazioni cattoliche slave della Macedonia e della Tracia, costrette dalla guerra ad abbandonare le loro terre per trovare rifugio in Bulgaria dove si ritrovano disperse e senza un capo religioso. Mons. Roncalli riceve subito, il giorno dopo il suo arrivo, i capi delle comunità cattoliche, che poi visita personalmente con numerosi viaggi in tutto il paese, portando a ciascuno il suo aiuto e la sua benedizione; e un anno dopo riesce a rinfrancare quei cattolici nella fede, facendo nominare amministratore apostolico per la Bulgaria, l'abate Stefano Kurtev e dando alla Chiesa di Bulgaria una solida organizzazione.
Nel novembre 1934, mons. Roncalli riceve la nomina a delegato apostolico in Turchia e in Grecia, con residenza stabile ad Istanbul. Qui i cattolici sono ancor meno che in Bulgaria e la vita religiosa in questi paesi non è facile. Pochi mesi dopo l'arrivo ad Istanbul di mons. Roncalli, il Governo turco emana una legge che proibisce ai sacerdoti l'uso dell'abito sacro; d'altra parte, nella Turchia di quei tempi, ancor fortemente influenzata dal laicismo di Stato di Kemal Ataturk, il Governo non riconosce ufficialmente l'esistenza della rappresentanza pontificia, così il delegato deve sempre stare in guardia per non rischiare di venire accusato di trasgredire in qualunque modo le leggi dello Stato. Anche in Grecia mons. Roncalli deve fare i conti con la proibizione di ogni propaganda religiosa e con il sospetto con cui sono visti i fedeli di Roma, in un paese di stretta osservanza ortodossa. Ma lui sa praticare la pazienza e la carità in un modo fuori del normale, agendo sempre con la massima prudenza e riuscendo ad appianare non poche difficoltà.
Continua poi a coltivare attivamente le relazioni amichevoli con i rappresentanti delle Chiese ortodosse, che già ha praticato durante il suo soggiorno in Bulgaria. Come scrive alla sua partenza da Sofia un religioso di laggiù: "Con la sua azione personale, la sua affabilità, la sua comprensione della situazione, egli ha contribuito efficacemente al riavvicinamento degli spiriti, dissipando molti pregiudizi che persistevano in certi ambienti". In Turchia, e soprattutto in Grecia, prosegue questo apostolato ecumenico: "Tutto quello che era cristiano l'attirava -scrive mons. Vuccino, arcivescovo cattolico greco.
Volentieri egli batteva alla porta dei monasteri e delle chiese ortodosse per ammirare e venerare le antiche icone, i meravigliosi mosaici, i manoscritti degli antichi tempi. Andò anche a visitare i monaci del Monte Athos, tutti stupiti di vedere in mezzo ad essi il rappresentante del vescovo dell'antica Roma". Visita pure il patriarca ortodosso di Costantinopoli nella sua sede del Fanar e vuole dare alle cerimonie cattoliche una maestà liturgica che favorevolmente impressiona i fratelli d'Oriente. Quando Pio XI muore, nella cattedrale cattolica di Istanbul vengono invitati, per il pontificale in suffragio del defunto, tutti i rappresentanti delle Chiese ortodosse e cattoliche orientali; il rito si svolge con uno splendore mai visto ad Istanbul e mons. Roncalli vuole che, al termine del pontificale, le cinque assoluzioni al tumulo, in uso per la morte di un Papa, vengano date, oltre che da lui personalmente, da quattro rappresentanti dei riti orientali. Nella bufera della guerra. Durante la seconda guerra mondiale, mons. Roncalli svolge un'attiva opera a favore dei rifugiati, dei feriti, dei prigionieri di guerra; protegge le popolazioni e i soldati italiani (dopo 1'8 settembre 1943) dai tedeschi, riuscendo anche ad ottenere che Atene, come Roma, venga dichiarata "città aperta" dalle due parti in lotta, risparmiandola ai bombardamenti. Notevole soprattutto la sua perizia nel sottrarre gli ebrei alla caccia spietata che danno loro le truppe naziste e il suo riuscito intervento per mitigare il blocco della flotta inglese alle coste della Grecia, che permette l'importazione di viveri che salva il popolo greco dalla fame.
Nel discorso d'addio ai cattolici bulgari mons. Roncalli manifesta così tutto il suo affetto e il suo dolore per il distacco: "Secondo una tradizione irlandese, tutte le case mettono alla finestra, nella notte di Natale, una candela accesa, per indicare a Maria e a San Giuseppe, che cercano un rifugio nella notte santa, che in quella casa c'è posto per loro. Ebbene, ovunque io sia, anche in capo al mondo, se un bulgaro passerà davanti alla mia casa troverà sempre alla finestra una candela accesa.
Egli potrà battere alla mia porta e gli sarà aperto; sia cattolico o ortodosso, egli potrà entrare e troverà nella mia casa la più calda e la più affettuosa ospitalità".
Nella patria della rivoluzione francese, i pregiudizi contro la Chiesa Cattolica era duri a morire. E la guerra appena terminata, li favoriva. Ma l'amabilità di Angelo Roncalli seppe far breccia anche nei cuori più anticlericali. Nel dicembre 1944 mons. Roncalli riceve un telegramma della Segreteria di Stato: "Venga immediatamente. Trasferito Nunzio a Parigi. Tardini ".
Quel "venga immediatamente" è imperioso. Roncalli parte subito. E dopo nemmeno 48 ore dalla partenza da Istanbul, dopo essere passato da Roma per riceverne conferma dal Papa stesso, mons. Roncalli sbarca all'aeroporto di Orly. A Parigi mons. Roncalli dà subito prova della sua abilità diplomatica, unita sempre alla più grande carità. La situazione della Chiesa in Francia non è per nulla rosea; il paese dal 1939 sta attraversando un periodo fra i più tristi di tutta la sua storia: la disfatta militare, l'occupazione, la resistenza, i due Governi nazionali, la liberazione... Inevitabilmente, nell'ora del trionfo finale della Resistenza, tutte le istituzioni sopravvissute sotto i tedeschi vengono messe sotto processo e fra queste anche la Chiesa: il Nunzio, mons.
Valeri, i Vescovi e le organizzazioni cattoliche. Una propaganda faziosa, sostenuta specialmente dai comunisti, esaspera gli animi accusando la Chiesa di connivenza col nemico tedesco, mentre in realtà, sia il Nunzio che i Vescovi hanno semplicemente cercato di salvare il salvabile, aiutando fra l'altro ebrei e perseguitati politici a fuggire dalle truppe tedesche. Il Nunzio non limita, però, la sua attività ai contatti ufficiali col Governo per risolvere le questioni pendenti (un altro problema affrontato e risolto è quello delle sovvenzioni alle scuole cattoliche, abolite nel 1945), ma è un valido sostegno e animatore della Chiesa di Francia, in questi difficili anni della ripresa dopo gli orrori e le divisioni della guerra. Gira a lungo per tutto il paese, sempre presente a cerimonie religiose e ad incontri di vescovi e di sacerdoti, a congressi e sessioni di studio.
Nel 1950 visita anche i territori francesi del nord Africa, così descrivendo in breve la sua tournée in una lettera: "Ho percorso in 38 giorni di viaggio diecimila chilometri in auto, seguendo il corso dell'invasione araba. Dalla Tunisia, attraverso tutta l'Algeria ed il Marocco... Tra i discorsi grandi e piccoli, piccoli per lo più, ho dovuto improvvisare una cinquantina di volte... E non ho sofferto nulla, tranne un'infreddatura presa visitando l'Escorial.
Un giorno di digiuno e di riposo alla Nunziatura di Madrid mi ha rimesso in moto". Di fronte alla questione dei "preti-operai", mons. Roncalli tiene un atteggiamento di prudente attesa finché egli rimane come Nunzio l'esperimento può essere continuato, pur con le limitazioni che l'esperienza gli sa consigliare. Uno dei suoi princìpi è che "senza un po' di santa follia la Chiesa non allarga i suoi padiglioni".
Negli anni che rimane a Parigi, il Nunzio conquista la Francia con la sua disarmante cordialità, la sua modestia e con la carità estesa a tutti, senza distinzione alcuna, tanto da arrivare a dichiarare apertamente: "Spesso mi trovo più a mio agio con un ateo o un comunista, piuttosto che con certi cattolici, fanatici". Mantiene i contatti con tutti i ceti, anche con i parlamentari e gli uomini di Governo che appartengono a partiti contrari alla Chiesa, moltiplicando i contatti umani con la sua conversazione brillante ed accorta, piena di calore umano.
Durante un ricevimento diplomatico, per esempio, il nunzio Roncalli si accorge che l'ambasciatore sovietico Bogomolov sta in disparte, immusonito. Gli si avvicina e attacca bottone in un modo piuttosto insolito per un diplomatico: "Eccellenza, - gli disse, - noi militiamo in campi opposti; tuttavia abbiamo in comune una cosa importante: la pancia. Siamo entrambi rotondetti..." Bogomolov ride di cuore, il ghiaccio è rotto.
Quando mons. Roncalli lascia la Francia all'inizio del 1953, dopo la nomina a Patriarca di Venezia, tutta la simpatia del popolo francese è con lui. E al pranzo d'addio tocca proprio ad Herriot, un radicale con fama di anticlericale, spiegare le ragioni del prestigio acquistato da Roncalli in Francia: "Il popolo francese non dimenticherà la bontà, la delicatezza del tratto, le prove di amicizia ricevute, avendovi conosciuto non ,soltanto nelle vesti di un diplomatico, ma di un antico che ha visitato la Francia spingendosi fino alle coste africane, studioso di pagine antiche ed insieme conoscitore di uomini. Il popolo francese, non privo di difetti, si lascia sedurre dalla bontà del cuore: tanta bontà ha riscontrato nel Nunzio, questo italiano francesizzato, e a voi si è aperto cordialmente".
Ed il 15 gennaio 1953, quando il presidente Auriol gli impone la berretta cardinalizia, come la tradizione consente ai capi di Stato di alcuni paesi cattolici, l'Eliseo fu teatro di una scena indimenticabile: nel momento in cui Roncalli si inginocchia per ricevere la berretta il presidente fa l'atto di fuggire; poi, mentre il capo protocollo gli lancia occhiate fulminanti, Auriol si china sul Cardinale e gli dice con voce tremante: "No, Eminenza, si alzi, si alzi: ,sono io che debbo inginocchiarmi davanti a lei..."
Quando arrivò a Venezia, sperava che la città lagunare sarebbe stata la sua ultima tappa del lungo itinerario al seguito della Divina Provvidenza, cui aveva sempre obbedito. Ma non fu proprio così. Un treno per Roma...
Nel Concistoro del 12 gennaio 1953 Pio XII crea mons. Roncalli cardinale, e lo nomina Patriarca di Venezia, dove fa il suo ingresso il 15 marzo. I veneziani lo battezzano subito "la quiete dopo la tempesta", succedendo al patriarca Agostini, uomo austero e chiuso, asceta e infaticabile lavoratore. All'età di settantadue anni, per il card. Roncalli incomincia una nuova vita ed egli spera che sia veramente l'ultima. A Venezia ha finalmente trovato quello che ha sempre desiderato fin dal giorno della sua ordinazione sacerdotale: il lavoro pastorale immediato, a stretto contatto con i sacerdoti e il popolo.
Appena arrivato in sede si dedica alla visita pastorale, interrotta con la morte del predecessore, e la termina con la convocazione di un sinodo diocesano. Nei cinque anni e mezzo di Patriarcato, erige una trentina di parrocchie e incrementa l'Azione Cattolica; rende a maggior splendore la Basilica d'Oro e colloca nella cripta le spoglie dei suoi predecessori; dota di una più decorosa sede la dimora patriarcale e riordina gli archivi diocesani; è presente, con consigli e ammonimenti nei vari eventi civili, politici e culturali della città. Ritorna anche in Oriente nel 1954, come Legato Pontificio al Congresso Nazionale Mariano di Beirut (Libano), e in Francia, nel 1958, per consacrare la grandiosa Basilica sotterranea di Lourdes dedicata a San Pio X. A Venezia, che lo riporta sentimentalmente all'Oriente, continua pure il suo apostolato ecumenico, cercando i contatti con i "fratelli separati" e partecipando ogni anno all'Ottava per l'Unità delle Chiese con omelie e conferenze, che esprimono tutta l'ansia del suo animo per la questione. "La strada dell'unione delle varie Confessioni cristiane - dice coraggiosamente -è la carità, così poco osservata dall'una e dall'altra parte".
A Venezia il Patriarca Roncalli lascia un ricordo indimenticabile. Il nuovo Patriarca conduce una vita modesta, senza pompa, senza barriere formali; di tanto in tanto compare per le strade e i campielli, accompagnato solo dal segretario, e fa lunghe passeggiate fermandosi a conversare con conoscenti e sconosciuti, tentando anche di esprimersi in dialettoveneziano e facendo amicizia con i gondolieri. Arrivato a Venezia, fa subito sapere che chiunque può andare a trovarlo, senza alcuna formalità, perché, dice, "chiunque può aver bisogno di confessarsi e non potrei rifiutare le confidenze di un'anima in pena". E infatti, secondo un'espressione testuale attribuita da un giornale ad un veneziano, "riceveva senza tante storie anche l'ultimo degli straccioni". Ben presto i veneziani si accorgono che dietro questa semplicità si cela un uomo di straordinaria cultura, un uomo che, come riferisce lo stesso giornale, "aveva tutta una biblioteca nella testa". Il Patriarca Roncalli infatti, cultore di studi storici e conoscitore di diverse lingue estere, ha molto viaggiato e la sua esperienza multiforme gli dà quella sicurezza che incanta tanto i dotti come gli ignoranti.
Quando lascia Venezia per il Conclave, dopo la morte di Pio XII, una grande folla l'accompagna alla stazione facendogli a gran voce gli auguri di buon viaggio e di buon lavoro. La scena è la stessa di 55 anni prima, quando un, altro Patriarca di Venezia, il Cardinale Giuseppe Sarto, parte per Roma per partecipare al Conclave; la folla forse avverte che anche questa volta il Patriarca non tornerà più a Venezia- A giudicare dall'affollarsi in massa dei veneziani per salutare il partente, si direbbe proprio di sì. Per il Cardinale Patriarca invece, come scrive il suo segretario mons. Capovilla, "la calma di sempre... Nessun documento personale con sé; nemmeno il testamento personale che altre volte, sul partire per il Libano ad esempio, o per la Spagna, aveva messo in evidenza". Il Patriarca Roncalli va a Roma tranquillo, una "parentesi" prima di tornare a Venezia, dove ormai pensa di aver trovato il luogo del suo definitivo lavoro e riposo, dopo tante peregrinazioni per il mondo. Ma la Provvidenza ha ancora una volta disposto le cose in modo diverso.
L'innato senso di bonario umorismo del futuro Papa può espandersi pienamente a Venezia, nella naturale cornice di una città portata ad apprezzare la battuta pronta. "Per carità, - si raccomanda il Patriarca, - non riferite le mie frasi malcaute!". Ma le sue battute passano lo stesso di bocca in bocca. Un giorno, conversando con uno degli uomini più ricchi della città gli dice: "Lei ed io abbiamo qualcosa in comune: il denaro. Lei ne ha moltissimo ed io non ne ho affatto, la differenza è che io non me ne preoccupo".
Un'altra volta, ad un giornalista che gli chiede cosa avrebbe fatto se avesse potuto incominciare da capo la sua vita, risponde: "Il giornalista". Poi, con un sorriso divertito aggiunge: "E adesso vediamo un po' se lei avrà il coraggio di dirmi che, potendo rinascere, farebbe il Patriarca!" ad un altro intervistatore troppo curioso: "Ma lei sarebbe capace di chiedermi quanti bottoni ha la mia sottana... " .
Così parrebbe da uno sguardo superficiale, Angelo Roncalli all'inizio del suo pontificato. Eppure da Giovanni XXIII egli seppe darsi un programma preciso, affrontando impegni gravosi e carichi di grosse conseguenze. Senza mai dimenticare che il primo compito del Papa è quello della preghiera. Se il mondo cattolico fu stupito all'annunzio dell'elezione del Card. Roncalli, di cui poco si era parlato prima del Conclave e poco si conosceva, certo ancor più stupito doveva essere lui, l'eletto, che non pensava certo ad una simile eventualità. Eppure fin dall'inizio, sebbene si definisse amabilmente "un Papa apprendista" e dicesse "lasciatemi fare il mio noviziato", affrontò con la sua consueta calma i primi difficili passi.
La sera stessa della benedizione "urbi et orbi", al segretario che gli chiedeva di quali importanti problemi avrebbe voluto occuparsi per primo, rispose: "Adesso mi prendo il Breviario e recito Vespero e Compieta ". Nei due discorsi iniziali del 29 ottobre, suo primo radiomessaggio al mondo, e del 4 novembre, giorno dell'incoronazione, Giovanni XXIII tracciava già il programma ben preciso del suo Pontificato, realizzato poi con grande tenacia. "Vogliamo soprattutto insistere che a Noi sta a cuore in maniera specialissima il compito di pastore di tutto il gregge. Tutte le altre qualità umane - la scienza, l'accorgimento ed il tatto diplomatico, le qualità organizzative - possono riuscire di abbellimento e di completamento per un governo pontificale, ma in nessun modo possono sostituirlo. Ma il punto centrale è lo zelo del "buon pastore", pronto ad ogni ardimento sacro, lineare, costante, sino al sacrificio estremo".
Un programma quindi chiaramente pastorale. Ma anche ecumenico e missionario, volto cioè alla conquista dei lontani: "L'orizzonte si allarga: "ho altre pecorelle che non sono di questo ovile, anche esse bisogna che io le riconduca e udranno la mia voce e si farà un solo ovile sotto un solo pastore (Gv 10, 16). Ecco il problema missionario in tutta la sua vastità e bellezza. Questa è la sollecitudine del Pontificato romano, la prima, anche se non è la sola". E ancora: "Apriamo il cuore e le braccia a tutti coloro che sono separati da questa Sede apostolica. Desideriamo ardentemente il loro ritorno nella casa del Padre comune".
Programma infine di vivo interessamento ai problemi dell'umanità, specialmente a quelli della pace e della giustizia sociale: "Ci sia lecito ora rivolgere il nostro appello ai reggitori di tutte le nazioni, nelle cui mani sono poste le sorti, la prosperità, le speranze dei singoli popoli. Perché non si compongono finalmente e con equità i dissidi e le discordie- Perché le risorse dell'umano ingegno e le ricchezze dei popoli si rivolgono più spesso a preparare armi che non ad accrescere il benessere di tutti i ceti dei cittadini, particolarmente di quelli meno abbienti-... Mettetevi dunque all'opera, con fiducioso coraggio e con l'assistenza divina". Innovazioni piccole ma importanti. Fissato chiaramente il programma della sua azione pontificale, Giovanni XXIII comincia dalle piccole cose che, più di tutte, indicano il suo stile.
Al direttore dell'Osservatore Romano dice che "l'alta e nobile parola di Sua Santità " e altre simili formule vanno abbandonate, abroga il divieto di ogni presenza umana nei giardini vaticani, durante le sue passeggiate, fermandosi anzi a parlare con i giardinieri, le guardie svizzere, i muratori. "Ho letto attentamente il Vangelo e non vi ho trovato alcuna prescrizione di divieto al Papa di mangiare in compagnia", dice a chi gli ha fatto notare che i Pontefici consumano i pasti da soli; e da allora alla mensa di Papa Giovanni ci sono spesso prelati ed amici. Papa Giovanni incomincia poi ad uscire con frequenza dalle mura vaticane, anche in questo caso rompendo la tradizione che vuole il Papa quasi isolato all'interno (lei suo piccolo regno. I romani si abituano in breve a vederlo girare per Roma, nelle visite a parrocchie e ad ospedali, alle carceri ed a vecchi amici ammalati; col loro spirito sempre pronto alla battuta, cominciano a chiamarlo "Giovanni fuori le mura".
Gli incontri del Papa Buono con i bambini sono rimasti famosi. Quando visitò quelli degenti all'Ospedale del Bambin Gesù, si ,sentì chiamare da un piccolo degente: "Vieni qui, Papa, vieni qui, Papa,.. Si avvicinò al lettino e chiese:"Come ti chiami?". "Angelo, Papa". "Vedi, caro piccino, una volta mi chiamavo anch'io Angelo, ma da qualche giorno mi hanno fatto cambiare il nome... Adesso mi chiamo Giovanni" . In un'altra corsia dello stesso ospedale un fanciullo diventato cieco gli disse: "Io lo so che tu sei il Papa, ma non ti posso vedere. Però ti voglio un mondo di bene lo stesso". Negli occhi di Papa Giovanni spuntarono due lacrime e forse per la prima volta rimase senza parola.
Ma l'episodio più commovente fu quello dell'udienza concessa alla bambina americana condannata dalla leucemia, che aveva espresso il desiderio di vedere il Papa prima di morire. La bimba indossava l'abitino bianco della prima Comunione e, con le sue guance rosee e paffute, sembrava sanissima, ma poteva a malapena reggersi.
Papa Giovanni le andò incontro, la prese per mano e la fece sedere accanto a sé. Poi "parlarono insieme" per circa tre quarti d'ora: cosa si siano detti in quel lunghissimo tempo, un tempo che il Papa dedicava raramente anche alle maggiori personalità, resta un mistero; tanto più se si pensa all'inglese approssimativo di Papa Giovanni e al poco comprensibile "slang" della bambina americana. Ma le anime, semplici e sante, quella del Papa e quelle dei bambini, si comprendono anche senza tanti discorsi.
Si capì subito dal nome, Giovanni XXIII, che qualcosa sarebbe andato diversamente nel vecchio mondo della Chiesa. Di Giovanni, nella storia dei papi, ce n'erano stati ventidue. Uno si era chiamato Giovanni XXIII, ma era un antipapa. Perciò, nessun pontefice aveva osato assumere quel nome. Roncallise lo prese, senza paura di confondersi con un usurpatore della cattedra di Pietro.
Era la figura esattamente all'opposto di chi l'aveva preceduto. Pio XII era diafano, ieratico, appariva raccolto dentro la sua alta sacralità, pontefice aristocratico, romano, pastore al di sopra del mondo, Pastor angelicus. Di Giovanni XXIII c'è invece, un'immagine splendida che lo raffigura emblematicamente. È quella che lo mostra con in testa il camauro, quel berrettone di velluto rosso bordato di pelliccia bianca, che fa di lui, contadino bergamasco, un placido e sereno pontefice rinascimentale. Se l'era cacciato in testa perché gli tenesse calde le orecchie. (Domenico Del Rio, da "Mondo e Missione" n° 6/2000)
Qual è l'immagine un poco abusata che la gente ha di Giovanni XXIII? Quella del Papa bonaccione. Ma è un'immagine che non spiega la personalità di Angelo Roncalli, che era sì buono, ma anche uomo di grande cultura e capace di decisioni che segneranno la vita della Chiesa. Grave errore di prospettiva sarebbe guardare a Giovanni XXIII come ad un Papa che esaurisse nella bonarietà e nella battuta pronta, tutta o gran parte della sua personalità. Non sarebbe stato, in questo caso, un grande Papa.
Mentre in realtà lo è stato, eccome! Basterà ricordare alcuni dei suoi atti di governo più notevoli, per vedere come realmente egli ha avuto un suo preciso piano d'azione, e ha saputo realizzarlo con una rapidità e un'energia che sorprenderebbero anche in uno molto più giovane di lui. Il 17 novembre 1958, l'Osservatore Romano dà l'annunzio che il nuovo Papa, nel Concistoro del 15 dicembre, avrebbe creato 23 nuovi Cardinali, tra cui il primo africano, e di fatto gli stranieri diventano l'assoluta maggioranza rispetto agli italiani: il Sacro Collegio viene così maggiormente internazionalizzato.
Ed ecco il 25 gennaio 1959, festa della conversione di San Paolo. Ai Cardinali raccolti nella basilica di San Paolo fuori le mura, Giovanni XXIII annunzia "tremando un poco di commozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito" il suo progetto di indire un Sinodo diocesano per la diocesi di Roma, un Concilio Ecumenico per la Chiesa universale e la riforma del Codice di Diritto Canonico (la raccolta di tutte le leggi che reggono la Chiesa latina), preceduto dalla promulgazione del Codice di Diritto Orientale. 1 Cardinali ne rimangono stupiti, letteralmente senza parola, come fulminati da quell'annunzio di imprese tanto colossali che nessuno dei Pontefici precedenti, pur pensandoci qualche volta, si era sentito l'animo di incominciare.
Papa Giovanni lancia quelle proposte prima ancora di averle ben chiare in mente, prima ancora di aver già studiato i piani per mandarle ad effetto; il progetto del Concilio soprattutto, come dirà lui stesso in seguito, non è maturato in lui "come il frutto di una prolungata meditazione, ma come il fiore spontaneo di una primavera insperata"; e, nel messaggio al clero veneziano del 29 aprile 1959, soggiunge: "Per l'annunzio del Concilio Ecumenico Noi abbiamo ascoltato un'ispirazione; Noi ne abbiamo considerato la spontaneità, nell'umiltà della nostra anima, come un tocco imprevisto ed inatteso ".
La sconfinata fiducia in Dio che Giovanni XXIII ha sempre nutrito l'ha portato a rispondere subito all'ispirazione, prima ancora di potersi chiedere come in pratica avrebbe potuto realizzarla. Ma se il primo annunzio è stato quasi timido ed incerto, in seguito l'esortazione del Papa alla preparazione del Concilio non conosce tregua: ne parla ai Cardinali e ai Vescovi, ai pellegrini e ai privati che riceve in udienza, insomma a chi può accelerare la preparazione e a chi proprio non ci può far nulla; a tutti però assegna un compito nella preparazione del Concilio, non fosse altro che quello di pregare: "Non dubitiamo di dire - afferma in un discorso del 13 novembre 1960 - che le nostre diligenze e i nostri studi perché il Concilio riesca un grande avvenimento, potrebbero restare vani, qualora fosse meno concorde e meno deciso questo collettivo sforzo di santificazione. Nessun elemento potrà contribuirvi come e quanto la santità, ricercata e raggiunta. Le preghiere, le virtù dei singoli, lo spirito interiore diventano strumento di immenso bene". Mentre il complesso meccanismo del Concilio Ecumenico macina rapidamente l'immenso cumulo di studi e di carte provenienti da ogni parte del mondo cattolico, mentre commissioni e sottocommissioni, padri conciliari ed esperti compiono un lavoro esorbitante che normalmente richiederebbe ben più tempo, ecco che gli altri progetti del Papa giungono quanto prima a maturazione e vengono realizzati.
Il Sinodo Romano, il primo che si tiene nella città santa dopo il Concilio di Trento, viene svolto nel gennaio 1960. Ecco quindi i lavori per la revisione del Codice di Diritto Canonico che vanno di pari passo con quelli per la preparazione del Concilio Ecumenico, integrandosi a vicenda. E l'attività legislativa di Papa Giovanni non si ferma qui: altre leggi che il gran pubblico forse neppure avverte, segnano un profondo rinnovamento nella Chiesa. Riapre il dialogo con gli anglicani, dopo quattro secoli di odio e incomprensione, bandisce gli atteggiamenti di ostilità verso gli ebrei, facendo togliere dai messali gli improperi contro "i perfidi giudei", proclama il primo santo di colore: un mulatto del Perù, fra' Martino de Porres.
E' la sera dell'11 ottobre 1962, al termine della fiaccolata che conclude la giornata di apertura del Concilio ecumenico Vaticano II. Papa Giovanni in piazza San Pietro, in tono familiare, pronuncia quelle parole che conquisteranno ecommuoveranno il mondo intero: "Cari Figliuoli, sento le vostre voci. La mia è una voce ,sola, ma riassunte la voce del mondo intero: qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera, osservatela in alto, a guardare questo spettacolo. La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, diventato padre per la volontà di nostro Signore... Ma tutti insieme, paternità e fraternità e grazia di Dio, tutto tutto...
Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci così nell'incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c'è, qualche cosa che ci può tenere un po' in difficoltà... Tornando a casa, troverete i bambini, date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa. Troverete qualche lacrima da asciugare: dite una parola buona. Il Papa è con noi, specialmente nelle ore della tristezza e dell'amarezza. E poi, tutti insieme ci animiamo: cantando, .sospirando, piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuiamo a riprendere il nostro cammino" .
Dove nasce in Angelo Roncalli quello sguardo all'uomo così positivo, così fiducioso nelle sue capacità? Non da un ingenuo sentimento, ma dalla consapevolezza che ciò che c'è nel cuore di ogni uomo è domanda di senso, di Dio. Anche all'uomo che sembra farsi "dio" attraverso il progresso scientifico. Con l'ultima Enciclica, "Pacem in terris", per la prima volta nella storia della Chiesa, il Papa si rivolge non solo ai Vescovi, al clero ed ai fedeli cattolici, ma "a tutti gli uomini di buona volontà": a quanti cioè credono nell'esistenza dei valori naturali che in ogni creatura rappresentano l'impronta del Creatore.
L'Enciclica si fonda, su una visione ottimistica dell'uomo e della storia umana, nella sicurezza cioè che le forze sane dell'umanità tutta rispondano positivamente all'appello pacifico del Vicario di Cristo e che gli eventi della storia umana, guidati misteriosamente dalla Divina Provvidenza, portino sempre più gli uomini ad una visione cristiana della vita, nonostante le apparenze spesse volte contrastanti.
La grandezza e la straordinaria popolarità di Papa Giovanni provengono, in buona parte, anche da questo suo inalterabile ottimismo nei riguardi dell'uomo e dell'umanità intera, sorretto da una fede intrepida e da un fortissimo senso del divino, che gli permise di andare incontro e di stabilire contatti cordiali sia con i fratelli separati delle Chiese ortodosse e protestanti, che con uomini di altre fedi e ideologie, presentando la Chiesa non come una torre d'avorio chiusa nella difesa delle sue verità ultraterrene, ma realmente come "la casa del Padre comune" aperta a tutti. Giovanni XXIII, fermamente convinto della forza immensa che il Cristianesimo ha in sé, non temeva qualsiasi confronto ed era certo che la dinamica della verità, della libertà e della giustizia, una volta messasi in moto, avrebbe finito per trionfare della malizia e dell'opportunismo degli uomini.
Per questo, Papa Giovanni non si spaventò nemmeno di fronte ai mirabolanti progressi della scienza e della tecnica (con un radiomessaggio salutò il volo umano nel cosmo), perché sapeva bene che qualsiasi progresso scientifico e tecnico, per quanto straordinario possa apparire, lascia sempre senza risposta le domande ultime che l'uomo si pone su se stesso e sulle ragioni della sua presenza nell'universo;sapeva che il progresso materiale lascia sempre dietro di sé il vuoto dell'anima che nessun orgoglio umano potrà mai riempire.
Angelo Roncalli sapeva che i cosiddetti "spiriti liberi" il più delle volte non sono altro che spiriti insoddisfatti, che possono venir riconquistati alla fede e alla speranza solo con la comprensione e l'umiltà, con il sincero apprezzamento della loro dignità umana e della loro buona fede; sapeva che prima o poi il singolo uomo, ed infine tutta l'umanità, dopo aver sperimentato l'ebbrezza effimera che gli può concedere per qualche ora il progresso, sarebbe inevitabilmente tornato alle care e dolci verità antiche, alla fede semplice del bambino e della vecchietta, che da sole valgono più di tutte le macchine costruite da mani dell'uomo, di tutta la sua cultura e di tutti i progressi scientifici e sole possono dare la tranquillità della coscienza e la pace nelle relazioni umane.
Quando il 28 ottobre 1958 fu annunciata dalla loggia esterna di S. Pietro l'elezione al sommo pontificato del Card. Roncalli coloro che conoscevano bene la vita e il pensiero del nuovo Papa furono concordi nel prevedere che Giovanni XXIII sarebbe stato un Pontefice missionario. Se l'inizio ufficiale dell'attività missionaria di Angelo Giuseppe Roncalli risale al 1921, quando è chiamato a Roma dal card. Van Rossum a dirigere l'organizzazione italiana delle Opere Missionarie, il suo interessamento alle missioni risale a ben prima. Il 21 aprile 1961, al termine di una riunione della Commissione delle Missioni preparatoria al Concilio, il Papa disse confidenzialmente che aveva ritrovato alcuni suoi appunti spirituali di quando, quindicenne, studiava al seminario di Bergamo; in essi c'era il proposito di pregare sempre ed intensamente il Signore per i "fratelli separati" e per le necessità delle missioni, poiché, aggiungeva, proprio in quegli anni aveva incominciato ad interessarsi dell'opera missionaria attraverso pubblicazioni specializzate. Nella diocesi di Bergamo, don Roncalli fu animatore solerte della cooperazione missionaria ed è certo per questa sua particolare sensibilità, oltre che per le elette doti di mente e di cuore, che Benedetto XV lo chiamò a Roma nel 1921, nominandolo Direttore dell'Opera della propagazione della Fede in Italia, con l'incarico di riorganizzare l'Opera stessa nel nostro paese.
Mons. Roncalli rimase a Roma dal 1921 al 1925, fino a quando, cioè, venne nominato visitatore apostolico per la Bulgaria: quattro anni esclusivamente dedicati alla cooperazione missionaria. In questo tempo ebbe modo di percorrere in lungo ed in largo la penisola, unificando i vari consigli regionali in un unico centro nazionale; visitò anche diversi paesi esteri (Francia, Austria, Belgio, Olanda e Germania) per studiare le forme di cooperazione alle missioni attuate in quei paesi; fondò e diresse il periodico La Propagazione della Fede nel mondo; lavorò per l'allestimento della grandiosa esposizione missionaria che nell'Anno Santo 1925 venne preparata nei giardini vaticani.
Nei suoi scritti di quel tempo, raccolti recentemente nel volume "La Propagazione della Fede", a cura dell'Unione Missionaria del Clero in Italia, rifulge tutto l'amore alla causa missionaria che il giovane sacerdote sentiva ormai con grande intensità. Nei vent'anni, poi, che passò in Bulgaria, Turchia e Grecia, mons. Roncalli conobbe i "fratelli separati" e il vasto mondo dell'Islam; e più tardi, come Nunzio in Francia e Cardinale di Venezia, doveva visitare il Libano, la Tunisia, l'Algeria ed il Marocco, riportandone intense impressioni, come scrisse in una lettera al sindaco di Firenze, La Pira (19 settembre 1958): "Le dirò in confidenza che da quando il Signore mi condusse sulle vie del mondo all'incontro con uomini e civiltà diverse da quella cristiana... ho ripartito le "ore" quotidiane del breviario così da abbracciare nella preghiera l'Oriente e l'Occidente...". In seguito, da cardinale di Venezia partecipò ad alcune manifestazioni missionarie di grande rilievo: il 17 febbraio 1957 pronunziò a Parma il discorso ufficiale in commemorazione di mons. Conforti, fondatore dell'Istituto Missionario Saveriano e nel settembre dello stesso anno prese parte al Congresso Nazionale Missionario di Padova, tenendo vi l'allocuzione finale.
Pochi mesi dopo, il 3 marzo 1958, il card. Roncalli era a Milano, nella sede del Pime, in occasione della traslazione da Venezia a Milano della salma del Patriarca Ramazzotti, suo predecessore sulla Cattedra di San Marco e fondatore delle Missioni Estere di Milano. In quell'occasione il card. Roncalli pronunziava un importante discorso missionario, ricordando i precedenti della sua vita che gli richiamavano l'amore alle missioni.
Disse fra l'altro: "Rammento la prima volta che la Provvidenza mi condusse all'Istituto delle Missioni Estere di Milano in via Monterosa, nell'autunno del 1910, quasi mezzo secolo fa, per la consegna del crocifisso ad un bel gruppo di missionari in partenza. Nelle conversazioni confidenti con alcuni degli anziani tornati dai campi di evangelizzazione, potei gustare la gioia di quegli incontri... mi sentivo come preso da una tenerezza ineffabile, educando il mio spirito all'ammirazione e all'interessamento più vivo per chi si sentiva chiamato e rispondeva correndo per quella via audace e misteriosa".
Sorprese tutti ancora una volta. Come per l'inizio del Concilio, anche la sua malattia fu per il pubblico un lampo a ciel sereno. Che egli seppe vivere offrendola per il bene della Santa Chiesa e per amore di Gesù. Se un anno prima qualcuno avesse detto che il Papa non avrebbe raggiunto l'estate del 1963, probabilmente gli avrebbero dato del pazzo. Papa Roncalli infatti era noto per la sua salute di ferro, da lui stesso più volte serenamente annunziata e le fatiche, i viaggi, i discorsi a cui si sottoponeva incessantemente, passata ormai l'ottantina, non si potevano spiegare diversamente che con il suo ottimo stato di salute.
E' difficile oggi dire quando il Papa ebbe la chiara coscienza del suo inguaribile male, 1 un tumore maligno che gli si era annidato nello stomaco: è certo che imo all'ultimo continuò a lavorare senza risparmiarsi e mai perse il fiducioso ottimismo, che era poi solida fede in Dio e sereno abbandono alla volontà della Provvidenza. II prof. Gasbarrini - archiatra, il medico pontificio, che gli fu accanto di continuo, - così racconta delle ultime giornate: "Più volte nei giorni decisivi l'ho sentito dire: "Sia fatta la volontà del Signore". Ed ancora: "Caro professore, non si preoccupi, io ho le valigie sempre pronte. Quando sarà il momento di partire non perderò tempo". La coscienza lo abbandonò completamente solo alla fine, ma per molti giorni, nei momenti di lucidità, poté leggere i giornali, intrattenersi con i visitatori, occuparsi persino del governo della Chiesa. Sul finire, ebbe spesso dolori lancinanti, che sopportò con grande coraggio. Il 3 giugno, lunedì, alle sette e mezzo di sera, eravamo riuniti nella cameretta accanto; di fronte al televisore assistevamo muti alla Messa solenne che il Card. Traglia stava celebrando sul sagrato di San Pietro, davanti ad una folla immensa e silenziosa. Ogni tanto, udivo il respiro affannoso di Giovanni XXIII, sempre più debole e fioco. Tornai accanto al suo letto e gli presi una mano fra le mie mani. Già da qualche attimo il battito cardiaco non si avvertiva più al polso. Mi chinai sul suo cuore. Nell'istante stesso in cui, rialzando la testa, mormoravo: "E' spirato", sotto, nella piazza, la funzione si chiudeva con le parole "Ite, Missa est". Le udii chiare, distinte, mi parvero simboliche. Un viatico celeste all'anima di un Papa incomparabile. Avevo gli occhi pieni di pianto. In quel momento qualcuno accese nella stanza una gran luce".
1 Il redattore di questo passo crede opportuno aggiungere questa nota. Che Papa Giovanni XXIII fosse al corrente della sua salute poco buona mi pare lo provi questa annotazione del Giornale dell'anima al numero citato nel giorno dell'apertura del Concilio Vaticano II.
Questa giornata segna l'apertura solenne del Concilio Ecumenico. La cronaca è su tutti i giornali, e per Roma è nei cuori esultanti di tutti. Ringrazio il Signore che mi abbia fatto non indegno dell'onore di aprire in nome suo questo inizio di grandi grazie per la sua Chiesa santa. Egli dispose che la prima scintilla che preparò, durante tre anni, questo avvenimento uscisse dalla mia bocca e dal mio cuore. Ero disposto a rinunziare anche alla gioia di questo inizio.
Con la stessa calma ripeto il fiat voluntas tua circa il mantenermi a questo primo posto di servizio per tutto il tempo e per tutte le circostanze della mia umile vita o a sentirmi arrestato in qualunque momento, perché questo impegno di procedere, di continuare e di finire passi al mio successore. Fiat voluntas tua, sicut in caelo et in terra [Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra].
P. Piero Gheddo (P.I.M.E.) sulla vita di Papa Giovanni nel numero unico di ottobre 2000 del mensile "Missionari del P.I.M.E."